Continua il mio viaggio, ripostando tutte quelle cose che hanno influenzato e fomentato in qualche modo la mia pratica. Buona lettura.
Intervista di Nishi Yoshinori
Dal Kakuto Striking Spirit 1 Maggio, 2002
Traduzione in inglese di Yoko Kondo e in italiano di Guido Vais.
Quattro giorni dopo, il 15 settembre, Nishi visitò l’Accademia Gracie di Rorion (figlio di Helio) a Los Angeles. Helio lo attendeva, avendo posticipato il ritorno in Brasile. Nishi prese una lezione privata su suggerimento di Rorion. Quando fu terminato questo breve allenamento (di un’ora), Helio mostrò a Nishi rare fotografie del suo combattimento leggendario col maestro Masahiko Kimura. Per maggiori informazioni su di lui, leggete la sua autobiografia “My Judo” o assistete al video del combattimento con Helio Gracie. Nel video potete vedere alcune fasi del combattimento storico del 1951 con alcune foto.
Nishi: Che belle foto! Penso che nemmeno la signora Kimura ne abbia di simili! Beh, secondo quali regole fu condotto questo combattimento? Quelle del “vale-tudo”?
Helio: No, quelle del jiu-jitsu.
N: Quindi non ci furono colpi?
H: Esatto. Potevamo fare tutto, meno che tirare pugni e calci. Non c’erano punti né limiti di tempo. Ma dopo che ho lanciato la sfida e ci siamo finalmente incontrati, Kimura sembrò molto sorpreso di vedere come ero piccolo (risata). Ma l’organizzazione mi informò che dovevo prima combattere con un judodoista di nome Kato.
N: Allora hai combattuto con un judoka giapponese prima dell’incontro con Kimura?
H: Si, pesava 20 kg più di me ed era di costituzione forte, ma fui in grado di vincere, per buona sorte.
(Kato era tracagnotto più basso di Gracie; temporeggiò qualche minuto, poi proiettò nettamente l’avversario con tsuri-komi-goshi; prese coraggio e si ripeté, lanciandolo contro le corde; infine accettò il combattimento al suolo dove venne strangolato (dal filmato si può immaginare con kata-juji-jime) e rianimato dal kwatsu dell’arbitro. Sia Kato, che Gracie e successivamente Kimura si presentano in judogi; n.d.r.).
Rorion: Mio padre finì Kato con uno strangolamento in meno di sei minuti (vedi foto del match). Quindi Kimura accettò la sfida di mio padre. Ma gli amici si opponevano. In particolare sembra che lo zio Carlos non volesse che Helio combattesse.
N: La gente pensava che Kimura fosse qualcosa di più che una sfida per te, sin da prima?
H: Non solo gli amici, ma io stesso pensavo che nessuno al mondo avrebbe potuto battere Kimura (ride). In particolare mio fratello Carlos temeva che non mi sarei arreso. Pensava che sarei stato ferito gravemente. Quindi mi diede il permesso di combattere con Kimura solo dopo aver promesso di arrendermi prima di essere ferito. Rammarico? Non ne provai tanto prima che dopo l’incontro. Per me che all’epoca miravo al jiu-jitsu, la paura era superata dal desiderio di sapere cosa mai avrebbe fatto in combattimento un uomo come Kimura. Avrebbe potuto aprirmi le porte ad un mondo sconosciuto. Ho sentito che anche tu sei un tipo di persona così.
Helio sembrava sapere che Nishi aveva combattuto con Rickson (negli Open del Vale-tudo del 95, in Giappone, battendolo con hadaka jime nel primo round.) E poi aveva partecipato a eventi di kickboxing e karate. Si percepiva dalle sue parole che Helio apprezzava la personalità di Nishi.
N: Vorrei chiederti qualche particolare prima di passare alla storia di Kimura. Che stile di jiu-jitsu hai imparato?
H: Ricordo vagamente che mio fratello Carlos studiava con Konde Koma (Kosei Maeda) (il ‘Conte Koma’ è il nome di battaglia di Maeda nell’ambito degli incontri professionistici; n.d.r.)intorno al 1914. Comunque io avevo solo 4 anni all’epoca. A dire la verità non ricordo bene che tipo di tecnica insegnasse Koma. Carlos aprì il dojo a Rio quando aveva 25 anni e io guardavo le tecniche che aveva imparato da Konde Koma. Ma continuavo a pensare come un uomo piccolo e debole come me avrebbe potuto vincere affidandosi alla tecnica.
R: Mio padre era ancora giovane per insegnare. Ma un giorno sostituì lo zio Carlos che era in ritardo. Aveva solo 16 anni, ma la sua capacità di controllare l’avversario col minimo sforzo era abbastanza persuasiva da soddisfare gli studenti. Con la tecnica si combatte per 20 o 30 minuti senza affaticarsi. Dopo quella lezione sembra che lo zio Carlos autorizzò mio padre ad insegnare.
N: Così nacque l’odierno Gracie-jiujitsu, vero? Lo stile che il sig. Carlos imparò da Kosei Maeda era incentrato sul “kata”?
(Maeda aveva lasciato il Giappone per l’America intorno al 1906, l’anno in cui Kano convocò al Butokukai la conferenza sui kata del judo, che certamente erano già abbozzati al Kodokan, ma non definitivi; n.d.r.)
H: Non c’erano molte tecniche e la maggior parte si basava sulla potenza (Maeda – vedi la sua foto sul libro di Yokoyama – aveva le fattezze di un ercole; n.d.r.). Ma Konde Koma faceva anche combattimenti reali, quindi nel suo insegnamento riecheggiava l’esperienza di queste situazioni.
N: Si poteva colpire?
H: No.
Kosei Maeda conosciuto col nome di Konde Koma era un judoka che lasciò il Giappone per diffondere il Kodokan-judo nel mondo durante l’era Meiji, e fece combattimenti contro stili diversi in ogni paese (il Kodokan finì per radiarlo dai suoi registri). Ma perché chiamò il suo stile jiu-jitsu e non judo in Brasile? Nishi riteneva che il jiu-jitsu introdotto in Brasile potesse essere una variante del judo. (Maeda passò al professionismo per risolvere la sua vita, perché a quel tempo gli insegnanti di judo erano molto poveri, e forse ebbe qualche rimorso a trascinare il judo, in cui era un rinomato, nel mondo chiacchierato del catch-as-catch-can; forse per questo sentimento di lealtà verso Kano disse sempre che insegnava jiu-jutsu. Ma la tecnica del brazilian-jiujutsu ricorda più il judo del Butokukai che il jiu-jutsu).
N.: Il signor Maeda lo chiamò jiu-jitsu e non judo sin dall’inizio?
H.: Sentivo Konde Koma parlare di jiu-jitsu. In Brasile non conoscevamo nemmeno la parola judo. A quel tempo (quando Konde Koma portò il jiu-jitsu) c’erano molti immigrati giapponesi e i brasiliani erano in buoni rapporti con loro. Ho sentito che spesso aiutavano i giapponesi in molti modi. Quindi penso che ci insegnò il jiu-jitsu tradizionale in segno di riconoscenza (Maeda è ricordato anche come un promotore dell’emigrazione giapponese in Brasile; n.d.r.).
N: Quando il judo arrivò in Brasile non hai avuto l’impressione che fosse simile al jiu-jitsu?
R: Ho la forte impressione che il judo sia uno sport che mira a proiettare l’avversario con forza (il judo del Kodokan trascura la lotta al suolo; n.d.r.). Ma penso che l’arte originaria sia il jiu-jitsu. Quando il Giappone ha perso la seconda guerra mondiale e è stato invaso dagli americani, ha loro insegnato il judo, ma non il jiu-jitsu. Siamo stati fortunati perché abbiamo avuto la possibilità di conoscere il jiu-jitsu prima del judo.
N: Non sembra che il judo vero e proprio vi sia stato mai insegnato. Mi chiedo se Kosei Maeda vi abbia insegnato qualcosa che ha elaborato da solo, chiamandola jiu-jitsu, o se questo stile abbia avuto origine dall’interpretazione di Helio. E’ una cosa che mi interessa molto. E quando ha avuto inizio il “vale-tudo”?
H: Quando ho combattuto con un americano del wrestling, che si chiamava Elbert, nel ’32, non era vale-tudo, ma un confronto fra stili diversi; avevo 17 anni e lui si riteneva un forte combattente a livello mondiale.
Sembra che Fred Elbert sia arrivato secondo nella categoria dei 95 kg nei campionati mondiali di wrestling 1928 a New York. Questo conferma il racconto di Helio che lo descrive come un gigante di 98 kg; Helio pesava circa 60kg.
N: E il risultato?
H (aggrottando le ciglia): Il combattimento cominciò a mezzanotte, e alle 2 del mattino la polizia ci ha fermato.
R: Il combattimento durò 2 ore e 10 minuti. A dire la verità Helio fu fermato dal medico per ferita. E il giorno dopo ha dovuto subire un intervento chirurgico urgente.
N: Sembra…(interrompendosi)… un imprudente…
H: Non volevo che si dicesse che avevo abbandonato il combattimento col pretesto dell’intervento del medico. E’ tutto. Comunque mi dispiace di non essere arrivato in fondo.
N: E se il sig. Elbert fosse in buona salute e la sfidasse a riprendere il combattimento oggi?
H: Accetteri, sicuramente! (risata). Ma dovrei dargli un vantaggio, perché era assai più anziano di me.
Visto che Helio ha nel combattimento l’attitudine di “vincere o morire”, come risulta dalle sue avventure, mi chiedo cosa avvenne quando gettò di sua mano la spugna nel combattimento di Royce, suo figlio, contro Sakabura nel Pride Gran Prix del 2000. Volevo chiederglielo. Ma forse c’era qualcosa di sbagliato nel mio modo di porre la domanda: “Mi dispiace per il risultato di Royce, ma…” e ho dovuto accontentarmi della risposta di Rorion, che faceva da interprete, e disse: “Puoi anche avere l’auto migliore del mondo, ma qualche volta può succederti di sbandare per una foratura. Né Shamrock né Royce hanno perso questa volta” (Helio parla solo portoghese, quindi l’intervista è stata fatta con Rorion a cui le parole di Nishi venivano tradotte in inglese, e poi le traduceva in portoghese per Helio). Comunque ho avuto l’impressione che Helio nutra una grande passione per il combattimento, che manifesta col suo modo di raccontare con parole semplici e chiare, mentre Rorion usa metafore.
N: Sig. Helio, avevi una tecnica favorita al di fuori dal jiu-jitsu?
H: Vuoi dire una tecnica di colpi? Ero bravo a tirare calci laterali. Lo facevo a modo mio, cioè colpivo col tallone. Ma non chiedermi di dimostrarlo qui, ora! (ride)
N: No! (ride). Hai detto che lo facevi a modo tuo, ma l’hai preso dal karate?
H: Karate? No. Il judo arrivò in Brasile verso il 1950-1960 e il karate più tardi, forse verso il 1970. Quindi non ho avuto l’opportunità di studiarlo. Inoltre quando ho visto il karate per la prima volta, ho pensato che non fosse utile per l’auto-difesa, o l’arte del kakuto (combattimento libero senz’armi; n.d.r.).
N: Beh… quindi pensi che i kakutoka che si basano sui colpi non siano efficaci?
H: Di solito non lo sono, o si? Penso che tu lo sappia meglio di me.
R: In un combattimento come Ultimate, tutto ciò che devi fare per togliere efficacia ai colpi è eliminare la distanza. Se ci arrivi, puoi controllare il combattimento.
N: Sono sicuramente uno svantaggio con le regole dell’Ultimate, ma non posso essere d’accordo con voi che sostenete con certezza che non siano utili dal punto di vista dell’auto-difesa, o anche del kakuto. Quindi, quando hai cominciato a combattere coi colpi?
H: Non ricordo con chiarezza, ma il jiu-jitsu era considerato qualcosa di orientale, in Brasile, e c’era qualcuno che diceva che poteva battermi in un combattimento da strada, quindi ho accettato di battermi anche con calci e pugni.
N: Incredibile! (ride) Deve essersi pentito amaramente delle sue parole dopo il combattimento. Fu quello l’inizio del vale-tudo?
H: Forse è così. Io sono colui che ha iniziato il vale-tudo. Ma non siamo stati noi a chiamarlo in questo modo, è stato un produttore televisivo.
N: Chi è stato?
H: Un media-man. Io combattevo contro altri stili per affermare il jiu-jutsu. E vincevo. Il produttore trovava interessanti questi incontri e ha deciso di trasmetterli: il titolo del programma era Vale-Tudo. In seguito la formula diventò l’incontro tra il vincitore di un torneo di jiu-jutsu (dalle cui regole i colpi erano banditi) e un invitato sfidante di un altro stile. Questo programma cominciò nel ’60 e diventò molto popolare. Veniva mandato in onda una volta alla settimana.
N: E’ uno dei modelli dell’Ultimate. Comunque sono sorpreso che fosse il nome di un programma televisivo, e che si combattesse il vale-tudo ogni settimana. Che paese incredibile il Brasile!
H: Molta gente temeva i pugni. Ma da quando videro gli incontri in TV cominciarono a capire che anche se avevano una loro efficacia potevano essere annullati con tecniche appropriate, e che anche un uomo piccolo come me poteva combattere.
N: Ho iniziato col judo e temevo di prendere pugni. E’ per questo che ho cominciato a studiare i colpi, e continuo a farlo. Sig. Helio, avevi paura di essere colpito dai pugni?
H: Se mi tirano un pugno, reagisco e mi cresce il coraggio. Ma sento anche dolore (ride). Quindi ho sviluppato un modo di combattere che evita di prendere pugni.
N: Prima assumi la posizione per evitare i pugni, poi dai pugni al tuo opponente quanto vuoi.
H: E’ così (ride)
N: E le proiezioni? Neanche le proiezioni sono efficaci?
H: No, possono essere molto efficaci in certi casi. Ho un ricordo intenso della proiezioni spaventose di Kimura. E’ stato impressionante vedere Kimura mettere k.o. l’avversario con una proiezione. Quando fu deciso che avrei combattuto con Kimura stavo attento alle sue proiezioni.
N: Potresti raccontarmi altri dettagli sul combattimento col maestro Kimura?
H: Certo! All’inizio ho attentamente cercato di trovare un’apertura, ma sono stato sotto il suo controllo da quando ci siamo avvicinati. Non ho avuto nemmeno il tempo di fare una presa che lo controllasse. Ciò che sono riuscito a fare a mala pena era di evitare la sua piena proiezione mantenendomi rilassato e cercando di deviare una parte della sua potenza, così è successo che mi ha seguito a terra. Mi ha portato a terra e mi ha immediatamente preso in strangolamento. Era difficile resistere. Sentivo che stavo per svenire e mi chiedevo se avessi dovuto battere come avevo promesso a Carlos. Beh, è una cosa che non ho raccontato a nessuno. Sembra che io sia svenuto mentre pensavo cosa fare (arrendermi o no).
Naturalmente Nishi fu sorpreso a sentire questo. Ma ciò che fece più impressione era lo shock dipinto sul volto di Rorion.
H: Se Kimura avesse continuato a strangolarmi sarei morto. Ma visto che non mi arrendevo Kimura lasciò andare lo strangolamento e passò alla tecnica successiva. Una volta libero dallo strangolamento il dolore della leva successiva (ude-garami; n.d.r.) mi ha risvegliato, e ho continuato a resistere. Kimura non ha mai saputo che mi aveva fatto svenire. Se fosse stato possibile mi sarebbe piaciuto ricordare con lui il combattimento e raccontargli questo.
(Succede. Lo scrivente ricorda il combattimento con un altissimo e allampanato marsigliese, allievo di Jean Zin, al Palaghiaccio di Milano, dove quell’avversario applicò kensui-jime sollevando in tachi-waza una gamba attorno al mio collo e poi portandomi al suolo. Svenni due volte e il sig. Ken Noritomo Otani, che arbitrava, lo sapeva bene, ma attendeva il tempo giusto per interrompere l’azione e il movimento mi faceva rinvenire. Vinsi per o-uchi-gari, ma qui la cosa non è pertinente).
N: Lo dirò certamente a sua moglie.
H: Grazie. Comunque Kimura era forte… forte e gentiluomo. Mi diceva in giapponese nelle orecchie:”Bene, bene” mentre mi prendeva in leva il braccio. Non capisco quella lingua, ma stranamente la sua voce mi incoraggiava. Mi ha dato forza (ride).
Poi gli chiesi spiegazioni. Mi ha risposto: “Stavo ammirando il tuo cuore”.
N: Anche Kimura nel suo libro parla del combattimento col sig. Helio, e dice che hai uno spirito molto forte.
H: Anche lui. Penso di avere ricevuto l’autentico spirito del samurai da lui. Forse ero un giapponese in una vita precedente.
N: A proposito, cosa dovrei fare del mio progetto? Sono venuto per fare un incontro con uno dei Gracie, ma nella conversazione col sig. Helio ho toccato il cuore di cui parla il maestro Kimura. Ora ho un maestro di più, sig. Helio. Forse ero un brasiliano in una vita precedente.
H: Grazie. Se continui ad allenarti sarai il campione in un torneo di jiu-jitsu in Brasile, di sicuro. Età? Nessun problema. Io ho 82 anni adesso ma le arti marziali sono una ricerca che riguarda la vita intera.
Io non ho nemici. Faccio della disattenzione il mio nemico.
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